LA BASILICA DI SAN MICHELE ARCANGELO A PAVIA, LUNGO LE VIE DEGLI ANTICHI PELLEGRINAGGI (Views 14081)

Nella città di Pavia la devozione per gli angeli è antica e ben documentata. A questo proposito si può citare una testimonianza dello storico Opicino de Canistris (“Liber de laudibus Civitatis Ticinensis”): “… questa chiesa di Santa Maria, dopo essere stata distrutta insieme all’altra da un incendio ad opera del tiranno Odoacre, fu restaurata dalla potenza degli Angeli per i meriti di Epifanio, nostro vescovo”(traduzione Ambaglio, 1984, p. 90). Forse per questo, sul tiburio dell’antica cattedrale di Santo Stefano fu collocato un Serafino in bronzo dorato, a protezione della città, come mostra un disegno dello stesso Opicino de Canistris (Avignone 1330). Pavia fu capitale del regno dei Longobardi. Popolo di guerrieri, essi ebbero una particolare devozione per l’Arcangelo Michele, indicato nella Bibbia quale vittorioso comandante delle schiere angeliche nella lotta contro Lucifero e gli angeli ribelli (AP, 12). A lui è dedicata la nostra basilica, che certamente ebbe importanza anche come luogo di culto micaelico lungo la via Francigena. Con questo nome è indicato un fascio di vie che dal Nord Europa, attraverso il Colle del Moncenisio o quello del Monginevro, (quindi provenendo dalla Terra dei Franchi ) portavano nella Penisola Italica, e da qui verso le più importanti mete religiose cristiane del Medio Evo: la Terra Santa, i luoghi di sepoltura di san Giacomo a Santiago de Compostela e di san Pietro a Roma e i luoghi dedicati all’Arcangelo Michele. Proprio Ticinum, l’odierna Pavia, era un punto di incontro di queste vie. Lungo quella che oggi si chiama “via Francana”si può visitare la chiesetta di S. Lazzaro, accanto alla quale un tempo c’ erano edifici destinati ad accogliere i pellegrini, successivamente adibiti a lazzaretto.
Una variante della via Francigena, detta “la via dell’Angelo”, partiva da Mont Saint Michel in Bretagna e aveva come meta il santuario di San Michele sul Gargano, a Monte S. Angelo. Osservando alcune iconografie presenti nella nostra basilica, possiamo a mio parere trovare conferma che proprio in questo luogo sacro i pellegrini sostassero a pregare. Una basilica dedicata all’Arcangelo guerriero esisteva a Pavia già in epoca longobarda, forse sull’area della chiesa attuale, ricostruita in forme romaniche quale oggi la vediamo fra il secolo XI e la prima metà del XII. In quell’epoca la via Francigena era percorsa da una moltitudine di pellegrini che si spostavano, percorrendo a piedi circa 20 km al giorno, prevalentemente in gruppi, con le insegne del loro pellegrinaggio: la conchiglia, la chiave, la Croce, la palma … La simbologia medioevale era complessa e ricca di significati, spesso molteplici. È interessante osservare la raffigurazione di S. Michele sulla facciata della nostra basilica. Basilica San Michele Egli campeggia ieratico e vittorioso sul drago, come un imperatore, reggendo i simboli del potere: il globo e lo scettro. La forma dello scettro ricorda la palma. Questo simbolo caratterizzava i pellegrini detti “palmieri” i quali, dopo aver compiuto un percorso pressoché coincidente con la “via dell’Angelo”, proseguivano per la Terra Santa , imbarcandosi dal porto di Brindisi. Nell’iconografia classica, la palma è simbolo di gioia, di accettazione della Volontà Divina fino alla morte, e di vittoria. Il segno della palma ci ricorda la Settimana Santa e la Pasqua, vittoria di Cristo sulla morte. I pellegrini che a Gerusalemme visitavano i luoghi della morte e della resurrezione di Gesù si trovavano al termine di un cammino volto ad elevarli spiritualmente alla Gerusalemme Celeste.
All’interno della basilica di San Michele c’è un altro importante simbolo legato al pellegrinaggio: il labirinto, di cui ci è rimasto un frammento con la figura del re anno e di alcuni mesi. I labirinti medioevali rappresentavano agli occhi del popolo il cammino della vita verso la Gerusalemme Celeste. Essi seguivano l’antica iconografia del labirinto classico cretese ed erano unicursali, cioè portavano inevitabilmente a raggiungere il centro. Qui potevano essere raffigurati la Gerusalemme Celeste o il conflitto tra il bene e il male (proprio come nel cuore dell’uomo, che Dio ha voluto libero di scegliere fra il bene e la sua negazione). Nella nostra basilica, secondo una ricostruzione cinquecentesca (Roma, BA V, Barb. lat. 4426, c.35r) al centro di un labirinto circolare a undici spire era raffigurata la lotta fra Teseo e il Minotauro, mentre in basso a sinistra si affrontavano Davide e Golia: queste iconografie costituiscono un doppio riferimento a Cristo e alla sua vittoriosa battaglia contro Satana.
Molte cattedrali del Nord Europa avevano grandi labirinti pavimentali, Labirintosui quali venivano celebrati riti penitenziali. Sui labirinti delle cattedrali di Auxerre e di Sens, secondo un uso liturgico documentato, nel periodo pasquale si celebravano danze e rappresentazioni con un preciso rituale che ricordava la resurrezione e la vittoria di Cristo sul male. Percorrere un labirinto in spirito di penitenza durante queste cerimonie sacre aveva il valore espiatorio di un vero pellegrinaggio. Le due figure in preghiera presenti ai lati dell’icona di S. Michele sulla facciata della nostra basilica (oggi leggibili a fatica) forse alludono anch’esse ai pellegrini penitenti lungo la “via dell’Angelo”.
Con il passare del tempo, il significato spirituale dei labirinti ecclesiali andò perduto. Un canonico della cattedrale di Chartres, Jean Baptiste Souchet (sec. XVII), era convinto che il labirinto non fosse che “un gioco senza senso, una perdita di tempo”. Ciononostante il grande labirinto della cattedrale di Chartres ci è giunto intatto. Sfortunatamente, tra il secolo XVII e il XVIII , molti altri sono andati perduti. Sulla copertina dell’edizione Bompiani de “Il nome della rosa”, di Umberto Eco, è riprodotta la pianta dell’antico labirinto della cattedrale di Reims e, in quarta di copertina, una nota dell’autore ricorda che esso fu distrutto dal canonico Jaquemart perché “gli dava fastidio l’uso giocoso che ne facevano i bambini i quali ,durante le funzioni sacre, cercavano di seguirne gli intrichi, con fini evidentemente perversi”. Altri labirinti furono distrutti nelle cattedrali di Auxerre (1690), di Sens (1768), di Arras (1795), di Amiens(1825). In quest’ultimo caso il labirinto fu ricostruito nel 1894, segno forse che si era ritenuto fosse un errore distruggere qualcosa perché non la si capisce … Anche in Italia molti labirinti sono andati perduti. Fra quelli rimasti ne ricordiamo alcuni su pareti di chiese: quello in pietra della cattedrale di Lucca, il grande affresco nella chiesa di S. Francesco ad Alatri, con al centro la figura del Cristo benedicente (entrambi identici nella forma a quello di Chartres) e quello graffito su una lastra di arenaria nella chiesa di S. Francesco a Pontremoli. Pare che questi labirinti fossero legati alla via Francigena. Preziosi e rari sono gli esempi documentati di labirinti pavimentali ecclesiali in Italia. Distrutto quello della chiesa di S. Savino a Piacenza, il frammento rimasto nella nostra basilica acquista un valore storico assolutamente unico.
Vorrei aggiungere alcune osservazioni conclusive. Gli Angeli appartengono da sempre a tutte le culture e religioni. Anche nell’icona dell’Arcangelo Michele sulla facciata della nostra basilica possiamo scorgere tracce delle antiche credenze nordiche longobarde, miste ad influenze orientali: c’è chi vede nello scettro che l’Arcangelo porta l’immagine del fiore di loto. Quanto al labirinto, esso è un simbolo antichissimo diffuso e conosciuto con ricchezza di significati e di forme in ogni parte del mondo. Tale ricchezza dice che l’umanità è sempre in cammino, lungo vie antiche e lungo vie nuove. Essa è ancora “pellegrina sulla Terra” e oggi più che mai, nell’era della “globalizzazione”, ha bisogno di intrecciare le antiche radici dei popoli e delle culture e di camminare insieme, nel mondo che Dio ha creato per tutti i suoi figli, cercando con spirito di vera pace, lungo il trascorrere del tempo la via, la verità, la vita …
Pupi Perati
Labirinto

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